CANAPA
Per un futuro ecosostenibile,
ritorno di una coltura antichissima


Individuare con precisione il paese d'origine della Cannabis Sativa L., pianta che l'uomo, da tempo immemorabile, ha diffuso in ogni luogo ove era possibile coltivare, è impossibile. Dal basso Danubio alla Cina settentrionale le piante di canapa sono spontanee, da qui l'origine asiatica. Furono gli Sciiti a portare la canapa in Europa, intorno al 1500 a.C., i Romani la introdussero in Italia intorno al 300 a.C.
In un passato non così lontano, l'Italia è stata la seconda Nazione al mondo nella produzione di canapa. Nel corso del decennio 1903-1913, gli ettari destinati nel nostro paese a tale coltura erano 79.477 con un rendimento di 795.000 quintali annui. La nostra produzione era seconda solo a quella della Russia. Per la qualità della fibra (Carmagnola e Fibranova), l'Italia era prima sul mercato internazionale. Nel 1958, iniziò la crisi, le fibre sintetiche sostituirono a poco a poco le fibre naturali e la canapa fu rimpiazzata totalmente dal nylon. Fino al 1964, in Campania, gli agricoltori si opposero alla recessione, ma tutto fu inutile: le navi fecero a meno delle corde e delle vele di canapa, le industrie tessili trovarono molto più vantaggioso l'uso del sintetico, gli oli vegetali vennero anch'essi sostituti con quelli sintetici e la cara, vecchia, canapa che tanto aveva fatto per l'uomo, assunse il ruolo di “marijuana”, “droga”.
Negli ultimi anni però una serie di fattori d'origine diversa, ha riportato alla ribalta l'interesse per la canapicoltura, in diverse aree europee. La Comunità Europea, con Regolamento del Consiglio n. 1308 del 29.06.'70, ha previsto per i produttori di canapa da fibra cellulosica un aiuto economico fissato forfettariamente per ogni campagna per ettaro coltivato. L'aiuto è concesso solo a produzioni di canapa da fibra, ottenuta da sementi certificate ed iscritte in un elenco in cui figurano tutte quelle il cui peso di THC (tedraidrocannabinolo, sostanza psicoattiva), rispetto al peso di un campione a peso costante non è superiore allo 0,3%. (art.3, par. 1 Reg. C.E. 619/71 così come modificato dall'art.1 Reg. C.E. 2059/84).
In Italia, come dimostrato dalle ricerche condotte dagli scienziati dell'Istituto superiore di Sanità e di diversi Istituti Universitari fin dal 1984, una stessa varietà europea di canapa da fibra cellulosica, coltivata in regioni climatiche diverse, può presentare un tasso di sostanza stupefacente minore o maggiore a seconda della minore o maggiore influenza dei diversi fattori ecologici locali, ma la variazione del tasso rimarrà sempre entro limiti estremamente modesti e sarà tale da non indurre effetti psicotropi. L'Italia fino alla campagna '98, rappresentava una rarità nel quadro agricolo europeo, perché unica Nazione a non usufruire del premio comunitario di lire 1.440.000 per ettaro coltivato; tutto ciò per effetto del decreto legislativo 309\90 (legge Jervolino-Vassalli, art.26). La nostra legislazione ha il difetto di “fare di tutta l'erba un fascio” e quindi di confondere le acque invece di fare chiarezza, la canapicoltura è legale. Il testo di legge infatti fa menzione esclusivamente della Cannabis Indica, intendendo con questo termine (per altro non accettato in sede scientifica) un tipo di cannabis con alto contenuto di THC; contrariamente alla precisa distinzione presente nella normativa comunitaria che ha l'indiscutibile merito di non generare equivoci. In Europa, non essendoci altra distinzione possibile né da un punto di vista morfologico né sulla base di caratteristiche botaniche, è la canapa più ricca di THC ad essere vietata, salvaguardando così le varietà di canapa da fibra.
Nel corso di un secondo Convegno di studio “Le mille e… una canapa” svoltosi a Caserta il 4-5-6- dic. 1997, è pervenuta la circolare del Ministero delle Risorse Agricole, del 02\12\'97 prot.1º 0734, a firma del ministro Michele Pinto che dava il via alla coltivazione di 1.000 ettari di canapa già a partire dalla campagna 1998-99.Dal convegno è emersa la necessità di creare una filiera produttiva, in grado di organizzare in pochissimo tempo agricoltori, imprenditori, industriali, artigiani. Nasce una associazione nazionale per la canapicoltura, denominata “Assocanapa” il suo obbiettivo è la creazione di un coordinamento nazionale di tutte le energie sparse sul territorio e l'organizzazione delle stesse. Il primo scoglio da superare per la ripresa della coltura, è stato il reperimento in Italia del seme certificato. Un convegno tenutosi a Carmagnola (TO) nel Feb. 1998, ha sviscerato il problema. La canapicoltura poteva riprendere, ma i semi andavano acquistati in Francia (unica nazione fino ad allora, detentrice delle varietà che danno accesso al premio comunitario. Attualmente altre specie, ungheresi e rumene, sono state aggiunte). In Italia sono stati seminati circa 360 ettari di Canapa in diverse regioni: Piemonte, Emilia, Toscana, Marche, Campania.
Quali sono le motivazioni? Quali sono i fattori che regolano le possibilità di successo? Qual è la situazione attuale e quali le prospettive?


LE MOTIVAZIONI
Sono le stesse di tutte le altre colture alternative o a destinazione non alimentare. L'U.E., con una serie di successivi provvedimenti, sta tentando di disincentivare la produzione di eccedenze attraverso una serie di meccanismi fra i quali la riconversione produttiva, per ottenere materie prime di cui l'Unione è deficitaria, attualmente o in prospettiva, o materie prime da destinare ad impieghi innovativi. In tutti i paesi dell'U.E. si assiste ad un fiorire d'iniziative, di ricerche che riguardano principalmente le filiere dell'amido, dell'energia, delle fibre, degli oli tecnici, dei coloranti, dei dolcificanti e, in genere, di materie prime vegetali destinate all'industria.
Si tratta di produzioni di massa, con richiesta industriale di forti quantitativi e perciò coinvolgenti ampie superfici, o di richieste molto limitate, con forte valore aggiunto, di particolari produzioni, ricavabili perciò da colture di nicchia. Alcuni Paesi hanno destinato ampie risorse pubbliche, ma anche private, ed hanno perciò avviato una fase iniziale di sviluppo operativo. L'Italia nel settore è ancora alla fase preoperativa e prenormativa.
Le motivazioni per sviluppare colture non alimentari non solo sono in sintonia con le direttive e le indicazioni della U.E., ma sono della più completa attualità.
D'altra parte ciò appare ben chiaro dalle prime informazioni su Agenda 2000: si tratta di una vera e propria rivoluzione che potrà comportare notevoli variazioni nella redditività di colture tradizionali e quindi rendere interessanti colture non alimentari.
Inoltre gli impegni della Conferenza di Kyoto, sottoscritti anche dall'Italia, per la riduzione delle emissioni nell'atmosfera giocano a favore di queste colture.
La carta ambientale sarà forse la carta vincente, sia per la modalità di produzione che, per le caratteristiche dei prodotti ottenibili offerti al consumatore.


FATTORI DI SUCCESSO
Perché una coltura praticata in passato e poi abbandonata, possa essere reintrodotta con successo deve:
-poter rientrare negli ordinamenti colturali senza creare problemi alla coltura successiva, e, con interazioni positive, ad es. sfruttando gli effetti residui delle colture precedenti, consentire di migliorare o ameno mantenere invariato il reddito dell'intero avvicendamento.
-poter essere coltivata con tecniche a basso impatto ambientale in modo da ridurre l'input chimico ed energetico nell'ambiente;
-poter utilizzare direttamente, o con limitate modifiche, le attrezzature agricole già esistenti in azienda o reperibili in loco;
-essere in grado di fornire produzioni relativamente costanti negli anni in modo da assicurare il soddisfacimento delle esigenze industriali;
-essere in grado di fornire caratteristiche qualitative rispondenti alle richieste dell'industraia di trasformazione;
-poter disporre materiale genetico adatto, in quantità sufficiente per le superfici che s'intende coltivare;
poter disporre di un'organizzazione che assicuri il ritiro e la conservazione del prodotto, ed eventualmente la prima fase di lavorazione di post-raccolta;
In base a ciò, conoscendo il livello produttivo raggiungibile e valutando i costi, l'agricoltore potrà calcolare il Break-even point e decidere se gli conviene o meno effettuare la coltura.


PROSPETTIVE
La canapa risponde molto bene sia da un punto di vista agronomico che ambientale. E' in grado di inserirsi nella maggior parte degli avvicendamenti praticati ed anche di costituire la base per soluzioni innovative. Come ben noto, la canapa è la tipica coltura rinettante, poiché per la velocità d'accrescimento e la capacità di selezionare la radiazione luminosa esercita una competizione vincente nei confronti della maggior parte degli infestanti. Va evidenziato che di grande interesse potrebbe rivelarsi l'introduzione della canapa non solo negli avvicendamenti, ma anche in terreni ritirati dalla produzione o comunque in zone deboli, quale potenziale depurative, competitive contro malerbe e contenitrici dell'erosione.


USI
La canapa deve essere considerata multiuso già solo per le possibili destinazioni delle componenti dello stelo. Oltre a quelle ben note e tradizionali, dell'industria tessile, della corderia e saccheria, della carta e dei cartoni, si vanno ampliando destinazioni innovative (bioedilizia, zootecnia, florovivaismo…)per le quali è prevedibile un mercato in forte espansione. Nel mercato attuale l'uso di fibre vegetali è enorme, dell'ordine di 1,8 tonnellate. Nella sola U.E. vengono utilizzati per imballaggi circa 6 milioni di tonnellate per anno di sostanze plastiche, essi potrebbero essere sostituiti con polimeri o direttamente con fibre vegetali. Anche di compositi attualmente nella U.E. se ne assorbono 400.000 tonnellate di fibre di vetro, non riciclabili, con conseguenti costi ed inconvenienti. Anche in questo caso possono subentrare fibre vegetali. Altro settore in enorme espansione è quello dei geotessili, il cui impiego diverrà sempre più importante per contenere l'erosione dei suoli. Si prevede già che dall'inizio del 2.000 il mercato ne potrà assorbire attorno a 70 milioni ti tonnellate. Non va trascurato il settore della bioedilizia che, sia come materiale isolante per pareti e solai, ma soprattutto in sostituzione o misto al polistirolo per alleggerire conglomerati cementizi, non solo in solai, ma addirittura in strutture portanti, può assorbire la porzione meno nobile dello stelo di canapa, cioè il canapulo. Quest'ultimo può essere utilizzato anche come substrato in colture di funghi, lettiere, componente dei terricciati, ecc..
La canapicoltura potrebbe essere un'occasione per applicare in pratica una filosofia di tipo ambientale che, pur soddisfacendo l'esigenza dei singoli componenti, rientra anche nell'assolvimento d'interessi sociali riducendo l'impatto ambientale. E' questo il concetto di “cascata” teorizzato dall'olandese T. Sirkin nel 1991 e ripreso dallo stesso, assieme a M. ten Houten, negli anni successivi. Di cosa si tratta? Ogni prodotto ha un ciclo di vita al termine del quale è distrutto. Saranno quindi necessarie nuove materie prime, nuovi input chimici, energetici, etc. per ricrearlo e poi distruggerlo e quindi costi per smaltire i residui ed anche per eventuali problemi d'inquinamento. Utilizzando invece materie prime e destinandole ad un prodotto con caratteristiche di pregio; utilizzando i residui di quest'ultimo prodotto per produzioni differenziate ad un livello più basso; i residui di queste ultime utilizzati ancora per altre produzioni, ancora di minor pregio, e così via come in una “cascata”. In questo modo il ciclo di vita della materia può essere notevolmente allungato, riducendo fortemente il livello d'input per unità di prodotto, poiché lo stesso verrà ripartito nelle successive fasi. Anche i costi di smaltimento dei residui e i problemi di inquinamento sarebbero fortemente ridotti. Razionalizzando l'organizzazione dell'intera filiera di produzione, oltre alla riduzione dei costi, si avrebbero benefici sociali notevoli, non trascurabile, infine, le nuove prospettive per l'occupazione.
Per la canapa un'applicazione è stata studiata da Fraanje (1997) sia relativamente alla porzione corticale che al canapulo. Si può pensare di utilizzare in sequenza: la parte fibrosa per usi tessili; i residui del tessile (stacci, ecc.) per l'industria della carta di buona qualità anche in miscela con carta da riciclo; la carta a sua volta essere riciclata per ottenere carte più grossolane e infine cartoni; questi ultimi possono essere lavorati per ottenere pannelli coibentati, che potranno essere riciclati per fare compositi ed infine usati come combustibile. Il ciclo vitale della materia prima può in tal modo essere allungato dai 2 anni, media attuale, ad oltre 60. Analogamente il canapulo può rientrare in “cascata”, oltre che in quella dei cartoni, nell'industria dei truciolati reimpiegati almeno 3 volte, con un ciclo vitale che può raggiungere anche i 75 anni.
Le prospettive per la canapa, così come per molte altre piante da fibra, possono risultare di grande interesse. D'altra parte, per reimpostare gli ordinamenti colturali per ridurre i settori eccedentari dell'agricoltura è più facile passando a piante annuali, piuttosto che a colture legnose con l'alea di cicli decennali.
Fino ai primi anni del '900 tutto si estraeva e si trasformava senza l'aggressione chimica. Se fu possibile ai cinesi estrarre carta nel 70-80 a.C., se E. Ford nel '941 costruì una vettura in fibra vegetale (risultata più resistente agli urti, più leggera, soprattutto più biodegradabile), alimentata da olio di canapa (70% meno inquinante degli attuali carburanti), la canapa può oggi rappresentare
una pianta magica per l'uomo, dare una mano all'ambiente e creare benessere ed occupazione.


Angela Grimaldi
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