IL PRINCIPALE LIMITE AL SUO SVILUPPO

Perché la canapa da fibra talvolta è illegale

E necessario definire un metodo nazionale di analisi del tetraidrocannabinolo (THC) della canapa che valga sia per gli agricoltori, che per le forze di Polizia.
Gianpaolo Grassi

E' un dato di fatto che la coltivazione della canapa da fibra (Cannabis sativa L.) in Europa è una realtà importante (42.000 ha nel 1999). In altri Paesi extraeuropei (India, Cina, Russia, Canada e Paesi dell'Est) le superfici investite sono ancora più rilevanti (oltre 100.000 ha). Anche in Italia, nonostante le preoccupazioni della Commissione europea, del nostro Ministero degli interni, della Sanità e l'applicazione talvolta rigida delle leggi che controllano la circolazione delle sostanze stupefacenti (dpr 9-10-1990 n. 309), a partire dal 1998 si è ripreso a coltivare la canapa. Il Ministero delle politiche agricole e forestali già nel 1995 aveva auspicato che fossero coltivati almeno 1.000 ha di canapa. Le difficoltà legali che sono emerse in quegli anni avevano portato il Mipaf ad accordarsi con gli altri Ministeri interessati e a definire con una circolare, la n. 4 del 20 aprile del 1999, le modalità con cui gli agricoltori italiani avrebbero potuto coltivare la canapa da fibra. Per vari motivi questa circolare ha circolato poco e nonostante gli sforzi di molti operatori agricoli, anche nel 2000 si sono verificati dei casi di sequestro, sanzioni amministrative e distruzione di coltivazioni di canapa (Cannabis sativa L.). Si continua a riproporre la denominazione Cannabis sativa perché, anche a causa dell'uso improprio dei nomi botanici via via dati a questa pianta, si sono innescati dei problemi di difficile risoluzione.
In effetti attualmente pare ci sia una prevalente accettazione, da parte degli specialisti della sistematica di questa pianta, a considerare un'unica specie e in funzione degli usi per cui è coltivata può essere ulteriormente definita con diversi termini che indicano la sottospecie (De Meijer, 1995).
Nell'ultima campagna agraria in Italia sono stati investiti poco più di 150 ha a canapa. Purtroppo i casi di contestazioni e provvedimenti legali a carico dei canapicoltori sono stati più numerosi e gravi degli anni precedenti. Il caso più indicativo si è verificato in provincia di Piacenza dove è stato sequestrato e distrutto un campo di 1 ha di canapa da fibra della varietà Kompolti. La motivazione del provvedimento era che dall'esame eseguito singolarmente su quattro piante è risultato che una aveva un contenuto di T'HC pari allo 0,39%, ma soprattutto il provvedimento era scattato perché il rapporto tra i due principali cannabinoidi THC e cannabidiolo (CR9), dava un valore pari a 14.
Il verbale riportava che tale indice era un segno chiaro e distintivo di una pianta da droga. Non è stato comunicato dagli inquirenti quale fosse il riferimento scientifico su cui si erano basati per questa deduzione. Sulla base di un così limitato campionamento è stata ordinata comunque la distruzione della coltivazione negando, di fatto, la possibilità all'agricoltore di effettuare un altro campionamento per un controesame.
Il caso a Piacenza era emerso perché un gruppo di ragazzi aveva incominciato a prelevare del materiale dal campo, dando il via a uno spaccio della pianta, ma nello stesso tempo aveva provocato un certo danno all'agricoltore. Personalmente avevo visitato un paio di settimane prima del sequestro quella stessa coltivazione e avevo effettuato il campionamento come prevede il regolamento europeo n. 1164/89. li risultato dell'analisi ha dato il valore medio di 0,27% di THC. Le norme prevedono che si conservi il campione prelevato e le successive verifiche hanno confermato il dato iniziale. Ci sono stati altri interventi di sequestro cautelativo di cui uno ha riguardato una coltivazione sperimentale presso la nostra sezione di Rovigo. In questo caso, dopo che le analisi confermarono che si trattava di canapa da fibra (THC inferiore allo 0,3%), il sequestro fu rimosso.
Per altri casi sono stato personalmente contattato dagli organi di Polizia per scambiare i risultati delle analisi o per effettuare i campionamenti sulle coltivazioni contemporaneamente all'ispezione delle forze di Polizia. Anche in questi casi non ci sono stati problemi (Forlì e Bologna).
In un altro caso c'è stata la condanna di un nostro collega della sezione periferica di Osimo (Ancona). Egli è stato condannato al pagamento di un'ammenda di 1.000.000 di lire e la medesima condanna l'ha subita l'agricoltore proprietario del fondo dove era in sperimentazione la canapa. La denuncia era partita nel 1998 e poco tempo fa, inaspettatamente, sono stati consegnati i decreti di ingiunzione al pagamento. Tutto il provvedimento si è basato su una semplice analisi qualitativa del reperto sequestrato.
Nel risultato delle analisi non si accenna minimamente alla concentrazione di THC della canapa e si dichiara unicamente che sono state individuate, nel materiale sequestrato, le sostanze stupefacenti incluse nella tabella II del dm del 27-7-1992. Sulla base di questo dato si è proceduto alla condanna dei responsabili, il ricercatore e il proprietario del fondo, perché anche se la coltivazione era stata regolarmente denunciata agli organi competenti, non erano state prese tutte le necessarie precauzioni che la legge prevede, cioè la recinzione del campo, l'illuminazione anche di notte e la continua sorveglianza delle piante. Si è sorvolato sulla prevista conta dei semi. Ne consegue che ogni rappresentante delle varie forze di Polizia, Finanza e Carabinieri che è coinvolto nei controlli delle coltivazioni di canapa, per la mancanza di un metodo ufficiale d'analisi del THC, può operare e procedere in modo diverso e incontestabile. Di solito i laboratori coinvolti in queste analisi utilizzano un metodo diverso da quello comunitario, previsto per la concessione dei contributi. I più recenti provvedimenti legali si sono basati sulle concentrazioni massime indicate dall'Unione Europea anche se non esiste una norma che preveda questo riferimento. La concentrazione massima di THC che è necessario rispettare per usufruire dei contributi prima era lo 0,3% e da quest'anno è passata allo 0,2%. Il limite legale di riferimento per la canapa da droga sino a pochi anni fa era l'1% e in seguito è stato portato allo 0,5%.
In occasione di alcune riunioni riguardanti le problematiche della canapa da fibra indette dal Mipaf, alle quali erano presenti anche i rappresentanti dei vari Ministeri interessati, sono emerse posizioni favorevoli all'armonizzazione e alla definizione di un metodo nazionale d'analisi del THC nella canapa. Questo metodo, una volta ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti in queste problematiche, permetterebbe un uniforme e unico criterio di valutazione di una sostanza (THC) che ancora oggi causa ingenti dispendi di tempo, specialmente alle forze di Polizia, sprechi di denaro a tutti i livelli e soprattutto non consente agli agricoltori italiani di operare in modo tranquillo, sicuro e sempre perfettamente legale.
Il problema della definizione di questi limiti massimi si complica perché la naturale variabilità del contenuto di cannabinoidi nelle piante di canapa è molto ampia. Solo negli ultimi anni i genetisti che hanno selezionato le varietà di canapa hanno preso in considerazione il contenuto di THC. Infatti, le nostre cultivar da fibra presentavano concentrazioni dei principali cannabinoidi, CBD e THC, molto variabili Anche se il valore medio del contenuto di THC era quasi sempre inferiore allo 0,3%, un certo numero di piante poteva presentare anche più dell'1% di questa sostanza psicotropa.

Nella canapa si possono identificare principalmente tre chemiotipi ben distinti:

In tutte le varietà di canapa da fibra coltivate ai giorni nostri si possono rintracciare piante che appartengono a tutti e tre i tipi sopra descritti. La differenza tra varietà da fibra che sempre rispettano i limiti di THC e quelle che talvolta li possono superare sta nella percentuale di individui classificabili nei tre chemiotipi e di conseguenza nel valore medio di TIIC che la popolazione nel suo insieme presenta. Nel grafico 1 si riporta una stima della variabilità dei due cannabinoidi in un genotipo di canapa da fibra non selezionato.
Nel grafico 2 si nota la distribuzione dei due cannabinoidi dopo un ciclo di selezione che ha permesso di eliminare una buona parte delle piante a elevato contenuto di THC.
Per operare una giusta classificazione del chemiotipo di canapa è necessario esaminare quantitativamente il contenuto di THC e CBD in un campione rappresentativo della popolazione.
L'Unione Europea ha scelto il campione composto da 50 individui. A nostro parere, per praticità operativa, nel caso di ispezioni delle forze di Polizia, si può limitare il campione a 30 o anche 20 parti, di altrettante piante, costituite dal terzo superiore di quelle femminili. Se la percentuale di THC è tendenzialmente superiore allo 0,3%, un ulteriore criterio di giudizio che può togliere ogni dubbio è fornito dal rapporto tra il contenuto di CBD e il THC. Dalle prove da noi effettuate nei diversi anni di studio questo valore, nelle varietà da fibra, è sempre risultato superiore a 10 e ovviamente più alto è questo rapporto, meno piante a elevato contenuto di THC sono presenti nella popolazione. Le piante più adatte e destinate alla produzione di droga sono quelle che producono quasi esclusivamente THC e di conseguenza il rapporto tra CBD e THC tende a 0. Una varietà è da ritenersi sicuramente da droga quando il contenuto medio di THC del campione rappresentativo supera l'unità. Questa è la concentrazione minima che i medici ritengono efficace a indurre effetti psicotropi. Dal risultati delle nostre prove effettuate in ambiente tipico per la coltivazione di canapa da fibra (Emilia-Romagna), le varietà espressamente destinate alla produzione di droga hanno mostrato livelli di THC che andavano da un minimo dell'1% sino al 6%. Il nostro Istituto da qualche tempo attraverso il Mipaf ha avanzato agli altri Ministeri competenti una proposta di armonizzazione dei metodi impiegati per l'analisi del THC. Il procedimento d'indagine dovrebbe subire un processo di valutazione e discussione a tutti i livelli, al fine di realizzare uno strumento che possa rappresentare un punto di riferimento unico.

Gianpaolo Grassi
Istituto sperimentale per le colture industriali - Bologna
E-mail: ggrassi@bo.nettuno.it