DUE LETTERE A "IL RESTO DEL CARLINO"
Una consumatrice di canapa indiana
Sono una "insospettabile" consumatrice di canapa indiana. Tra i miei amici alcuni si fanno le canne. Come loro, conduco una vita normale, il lavoro che faccio mi piace, sono stimata come professionista (e come persona), ed è raro che io mi assenti per malattia. Pago l'affitto ecc.
Succede che qualche volta io vada a fare qualche acquisto di canapa indiana in un'altra città, dove magari sono riusciti a coltivarla (non dimentichiamo che è una pianta). In queste occasioni ci si ritrova con gli amici e si divide l'acquisto. Se malauguratamente dovessero arrestarmi nel tragitto eccomi trasformata in spacciatrice. E' probabile che avrei diversi problemi, anche sul posto di lavoro e qualcuno, sbagliando, cambierebbe opinione su di me. Perché
Perché si è stabilito che io non possa farmi le canne. Posso bere fino a morirne, posso schiantarmi con un mezzo che va ai duecento all'ora, posso imbottirmi di psicofarmaci legali, come fanno sempre più persone, ma le canne no, e attenzione, non perché sono nocive alla salute, cosa comunque da dimostrare, ma perché danno effetti stupefacenti, cosa socialmente sgradevole.
Tanto per cominciare l'effetto stupefacente è piuttosto moderato (parlo per esperienza lunga e diretta, collettiva e singola), permette ad esempio di preparare la cena senza sbagliare il sale, di passeggiare fino in centro per comprare il giornale, di rivolgere la parola al giornalaio e scambiare qualche chiacchiera se viene. Qualcuno, chi ne ha, può andare a prendere i bambini a scuola e fare un salto dalla nonna.
Per quello che mi riguarda sono interessata all'effetto tranquillizzante. Favorisce il buon umore o, talvolta, la concentrazione. Questi blandi effetti migliorano il mio "riposo" privato e sociale. Aumenta l'appetito.
I consumatori che io conosco amano farlo dopo cena, dopo aver lavato i piatti, quando ci si domanda come passare le ultime ore di serata. Siamo quarantenni, gente qualunque che si incontra tutti i giorni in comune, negli uffici, negli ospedali, nei luoghi pubblici. Non sono una tossicodipendente e desidero passare il tempo libero nel mio privato e come mi aggrada certa di non attentare alla mia salute (e soprattutto a quella degli altri) più di quanto il vivere legale comporta.
E' ora di liberalizzare l'uso della canapa indiana che nulla ha a che vedere con le droghe sintetiche e mai ha creato gli stessi problemi dell'alcol né sul piano sociale né a livello di salute.
Insospettabile Illegal
(lettera pubblicata su il Resto del Carlino di Ferrara domenica 27 febbraio 2000)
L'uso medico della canapa indiana
Gentile Redazione,
vorrei rivolgermi alla "consumatrice di canapa indiana", ma anche a tutti quei lettori che si saranno forse scandalizzati leggendo la sua lettera pubblicata nel Vs. giornale il 27 febbraio.
Io non sono un fumatore di canapa indiana. Tempo fa ho scoperto su Internet la canapa e i suoi usi industriali, che sono di grande interesse sia per ragioni economiche che ambientali e, visto che in italiano non c'era nulla, ho deciso di costruire io un sito su questo argomento (indirizzo: canapa.4net.com).
Presto però mi sono accorto che il principale ostacolo al rilancio di questa coltura (alla quale sono molto interessati i contadini, gli industriali nonché gli ambientalisti, e alla quale è stato dedicato proprio a Ferrara l'8 febbraio scorso un convegno organizzato dal Consorzio Canapaitalia), è che con alcune varietà di canapa (canapa indiana) si produce una droga che si chiama marijuana. Da allora ho letto, anche su Internet, tutto ciò che è possibile reperire sull'argomento, e ora ritengo di poter affermare che la marijuana o canapa indiana non provoca né dipendenza né danni fisici. Relazioni scientifiche autorevoli come il rapporto Roques commissionato dal Governo francese, o il rapporto dell'OMS, dichiarano esplicitamente che la pericolosità della cannabis indica è sostanzialmente inferiore a quella dell'alcol o del tabacco. Ma c'è di più. Ho anche scoperto (una scoperta fatta dopo i 50 anni e che non avrei mai creduto di poter fare) che proprio la canapa indiana, cioè quella proibita, ha numerosi ed importanti usi medici (farmaco molto efficace come analgesico, antiemetico e antidepressivo; il più efficace di tutti nel mal di testa ed emicrania, nell'epilessia e nel glaucoma - e senza effetti collaterali). Questa medicina non è mai stata praticata in Italia, né mai insegnata nelle università italiane, ma è conosciuta da migliaia di anni in tutto l'Oriente. Scoperta in India dagli Inglesi, è diventata nella seconda metà dell'800 nel mondo anglosassone uno dei tre o quattro farmaci più comuni – usato regolarmente anche dalla regina Vittoria.
Ho ritenuto quindi doveroso istituire nel mio sito Internet una pagina dedicata agli usi medici della canapa indiana, dove ho raccolto varie relazioni scientifiche di carattere medico ed anche la parte del rapporto Roques che riguarda la canapa indiana, e che chiunque ora può leggere.
La discussione sulla liberalizzazione della canapa indiana sta in questo momento infervorando anche la politica, ma io credo che se non ci si attiene ai risultati di queste autorevoli relazioni scientifiche, cioè alla realtà dei fatti, le conclusioni di questi dibattiti saranno per forza di cose sbagliate. In definitiva a me sembra paradossale che una pianta così utile per i suoi usi medici, con una pericolosità comunque molto limitata (e che provoca effetti veramente blandi) sia trattata alla stessa stregua di droghe pericolose come l'eroina o la cocaina, che sono di fatto dei veri e propri veleni. Ancora più paradossale è che questa proibizione già di per sé assurda e che va a colpire persone che non sono certo dei criminali, intralci gravemente la coltivazione delle varietà di canapa a destinazione industriale, varietà che sono state coltivate da sempre nelle nostre campagne e che possono costituire per il futuro della nostra provincia una grossa opportunità economica e di posti di lavoro, ma anche una opportunità per il risanamento dell'ambiente.
Cesare Pasini
(Lettera pubblicata su il Resto del Carlino di Ferrara di venerdì 3 marzo 2000)