Il progetto finalizzato PRisCA
Situazione e prospettive
La gestione sostenibile delle risorse naturali e dell'ambiente, con riduzione delle emissioni inquinanti e del consumo di energie non rinnovabili, non può prescindere dallo sviluppo di colture alternative (canapa, lino, kenaf, ecc.) o di usi alternativi per colture tradizionali (sorgo da amido o fibra, girasole e colza da biodiesel, ecc.). Il mondo agricolo sembra fortemente interessato a colture "nuove", anche per allargare gli avvicendamenti, molto meno l'industria di trasformazione di questi "nuovi prodotti"
Gianpietro Venturi, Maria Teresa Amaducci
A metà degli anni 70 e, in seguito, anche per effetto della Guerra del Golfo, il mondo occidentale cominciò a rendersi conto che il consumo indiscriminato di energie non rinnovabili e il modello di vita, altamente inquinante, dei Paesi industrializzati potevano causare insicurezza di disponibilità energetiche e sicuramente danni all'ambiente.
Nello stesso periodo un forte incremento delle produzioni agricole, coincidente con la stabilizzazione dei consumi, almeno nell'Unione Europea (Ue), cominciava a creare problemi di eccedenze, dapprima occasionali e poi strutturali. Diveniva così sempre più importante considerare lo sviluppo di colture a destinazione non alimentare, nell'interesse dell'agricoltura, dell'ambiente e del consumatore.
Solo alla fine degli anni 80, però, nella maggior parte dei Paesi industrializzati si è cominciato a operare per sviluppare colture "non food", "new crops" o alternative, cioè colture in grado di fornire produzioni con destinazione diversa rispetto a quella tradizionale che era principalmente indirizzata a usi alimentari). Questa nuova visione dell'agricoltura ha avuto, a seconda dei Paesi, motivazioni diverse, coinvolgenti aspetti economici, sociali, politici e ambientali. Da un punto di vista concettuale e filosofico la si potrebbe far rientrare nel grande filone della "new age" o, ancor meglio, in quello, ancora in embrione, della "next age".
Nell'Unione Europea le colture "alternative" sono state viste, assieme alla estensivazione e alla messa a riposo dei terreni, come uno dei mezzi per ridurre i costi delle eccedenze di produzioni alimentari, sempre più elevati e ormai insostenibili. Gli approcci sono stati diversi; sono state infatti ricercate innovazioni di prodotto e di processo, studiando l'introduzione negli avvicendamenti di colture non tradizionali e, per ciascuna, le possibilità di impiego innovative dell'intera produzione o unicamente di componenti specifiche. Per la maggior parte delle colture e dei singoli aspetti affrontati si è partiti da conoscenze estremamente limitate, a volte pressoché nulle, e quindi ha assunto un rilievo preponderante la fase di ricerca e sperimentazione. Alcuni Paesi, più preveggenti o più organizzati, hanno creato strutture di ricerca e sviluppo apposite, con la collaborazione e il supporto economico della componente pubblica e di quella privata appartenente sia al mondo agricolo che a quello industriale; si è così sviluppata la ricerca in diverse filiere, con il collegamento stretto fra la fase della produzione agricola, quella di caratterizzazione qualitativa del prodotto e le successive fasi di trasformazione industriale. In alcuni casi, non molti per la verità, le filiere di ricerca hanno potuto trasformarsi prima in filiere di sviluppo e successivamente in filiere operative. Quasi generalmente sono state acquisite conoscenze e messe a punto metodologie di produzione non sempre economiche allo stato attuale, ma già pronte per passare alla fase operativa qualora si verifichino le condizioni opportune.
Possono essere ricordati in proposito gli esempi di Francia, Olanda, Germania, Danimarca, che negli ultimi anni hanno investito capitali importanti nella ricerca del settore. In particolare la Francia ha identificato tre priorità (ridurre la differenza di costo fra biocarburanti e carburanti fossili; produrre calore o elettricità partendo da biocombustibili solidi e liquidi; sviluppare ecoprodotti) e ha promosso 150 progetti tramite Agrice, investendovi 300 milioni di franchi (quasi 90 miliardi di lire) fra il 1994 e il 1996 (Mangin, 1997). L'Olanda ha iniziato nel 1988 promuovendo la ricerca unitamente a provvedimenti governativi per favorire il passaggio dalla fase di studio a quella applicativa; si è considerato che il trasferimento dei risultati in questo settore, che coinvolge attori differenti, dall'agricoltura al commercio dei prodotti agricoli, a trasformatori intermedi fino all'industria consumatrice finale, dovrebbe richiedere 12-16 anni (de Wit, 1997). In Germania, nel 1996, 108,6 milioni di marchi (oltre 100 miliardi di lire) sono stati destinati a 174 progetti di ricerca; in particolare: bioenergia - calore ed energia da biomasse, 29 progetti per 14,2 milioni di marchi; legno e lignocellulosa, 26 per 18,1; oli e grassi, 44 per 27,8; fibre 11 per 8,5; amido, 24 per 15,1; zuccheri, 17 per 16,2; proteine, 4 per 2,3; usi particolari, 13 per 5,4; altri temi, 6 per 1,0 milioni di marchi (FNR, 1997). Il programma di ricerche danese ha previsto un finanziamento di 40 milioni di corone (oltre 10 miliardi di lire) nel quadriennio 1997-2000 e altri 11 milioni di corone (quasi 3 miliardi di lire) per attività di dimostrazione e sviluppo sulle colture da energia (Rexen, 1998).
Anche l'Ue dal 1989 al 1997 ha promosso 96 progetti (15 sulle piante da fibra; 18 su amidi e zuccheri; 23 su oli e grassi e 40 per piante per usi diversi) coinvolgenti 1.500 ricercatori di Stati europei e contribuendo con 152 milioni di Ecu al costo totale (circa 650 miliardi di lire) lavorando su circa 30 specie (Hausen, 1997).
L'Italia è stata più lenta a cogliere questa opportunità e solo, a partire dal 1992, l'allora Ministero dell'agricoltura ha mostrato una grande sensibilità promuovendo il Progetto di ricerca sulle colture alternative (PRisCA), che non avrebbe potuto certamente fornire risultati applicativi, in tempi brevi, ma avrebbe potuto acquisire le conoscenze necessarie per reggere il confronto con gli altri Paesi europei, nel caso in cui gli scenari politici ed economici ipotizzati si fossero concretizzati.
Con l'intento di organizzare la ricerca in filiera, furono tentati contatti con il Ministero dell'industria, purtroppo con risultati nulli, e con le industrie dei diversi settori, alcune delle quali hanno fornito una partecipazione attiva e molte hanno collaborato con consigli, incoraggiamenti e manifestazioni di grande interesse. In vari casi è stato possibile chiudere la filiera anche operativamente; in altri sono state solo predisposte le condizioni tecniche e in altri ancora individuati gli anelli mancanti per la chiusura della catena.
Struttura e obiettivi del Progetto
Il PRisCA ha iniziato ufficialmente l'attività, con la pubblicazione del decreto ministeriale 27-12-1991, articolato in 5 filiere (Amido, Energia, Fibra e cellulosa, Oli tecnici, Usi diversi), ciascuna delle quali ha interessato diverse sub - filiere e temi di ricerca. In corso d'opera sono state sospese le ricerche relative alla filiera Amido, che d'altra parte una evoluzione recentissima potrebbe indurre a riconsiderare in un prossimo futuro.
Nel biennio propedeutico 1992-1993 sono state impegnate 17 Unità operative (Uo) che hanno portato a termine l'attività relativa a 103 delle 106 schede di ricerca programmate. Nel biennio 1994-1995 le Uo interessate sono state 25; sono proseguiti i programmi iniziati nel primo biennio e affrontate alcune nuove tematiche rivelatesi di particolare interesse. Nel 1996 l'attività è stata limitata, a causa della sensibile riduzione dei finanziamenti, e ancor più nel 1997, anno in cui hanno operato solo 17 Uo per portare a termine le ricerche in corso.
Nel 1998, senza nessun finanziamento, molte delle Uo hanno proseguito nelle attività di ricerca iniziate per le quali era indispensabile il completamento e hanno mantenuto i campi catalogo, in particolare quelli relativi a specie pluriennali dalle quali si sono cominciati a ottenere risultati di interesse.
I finanziamenti concessi dal Miraaf, poi Mipa, sono stati di 3.903.200.000 di lire per il 1º biennio, 3.684.000.000 per il 2º biennio, 1.590.000.000 per il 1996 e 975.000.000 per il 1997, nel loro complesso quindi particolarmente esigui se confrontati all'impegno profuso da altri Paesi dell'Ue.
Gli obiettivi generali di ricerca hanno subito una evoluzione nel tempo, in parallelo all'evolversi delle situazioni, in base ai risultati via via ottenuti e anche alle indicazioni del mondo operativo e alle notizie provenienti dall'estero. Inizialmente, in analogia con quanto avvenuto in tutti i Paesi industrializzati, il Progetto ha considerato una molteplicità di tematiche nelle diverse filiere per saggiare il maggior numero di possibilità, non trascurando aspetti eventualmente suscettibili di sviluppo. Nelle fasi successive le Uo hanno "aggiustato il tiro", dedicandosi soprattutto a filiere e, nell'ambito di queste, a specie per le quali si intravedevano soluzioni tecniche a livello operativo in tempi non troppo lunghi.
In sintonia con le direttive inizialmente ricevute dal Miraaf, senza trascurare qualche primo approccio alle fasi successive della trasformazione, gli obiettivi di ricerca hanno riguardato quasi essenzialmente la fase agricola della filiera e, a posteriori, si sono rivelati analoghi a quelli perseguiti dagli altri Paesi industrializzati. Sostanzialmente si è trattato di acquisire conoscenze sull'adattabilità agli ambienti italiani di colture nuove o poco conosciute, e per alcune di esse di studiare e mettere a punto la fattibilità tecnica, valutando inoltre possibili destinazioni innovative di materie prime ricavate da colture tradizionali. In altri termini si è operato nell'ottica di un progetto strategico, prescindendo dalle barriere legali, economiche, commerciali e tecnologiche contingenti che possono ostacolare o impedire di trasferire al mondo operativo i risultati della ricerca e la loro applicazione.
Sebbene gli obiettivi siano stati prevalentemente agronomici, si è tentato, non solo da parte del Coordinamento ma anche di diverse Uo, un collegamento con centri specializzati e con industrie leader per diversi settori; in qualche caso i contatti sono stati fruttuosi e hanno contribuito allo sviluppo operativo di alcune tematiche, anche per l'acquisizione di un notevole bagaglio di esperienze da parte delle Uo nei diversi settori in cui hanno operato. Abituatesi ad affrontare collegialmente le diverse problematiche, individuando competenze specifiche, disponibilità di attrezzature, strumenti scientifici, ecc., in modo da sfruttarne la complementarietà, le Uo hanno potuto stabilire contatti con realtà operative agricole e industriali dislocate sull'intero territorio nel quale hanno potuto saggiare una vasta gamma di situazioni pedoclimatiche.
Un notevole pregio e vantaggio del Progetto è stata la possibilità di considerare contemporaneamente una pluralità di filiere, alcune con ricerche più approfondite, altre con studi di avvio. In una visione globale è stato così possibile confrontare colture e problemi appartenenti a filiere diverse, con scambio di conoscenze ed esperienze valutate comparativamente in funzione degli avvicendamenti tipici dei diversi areali.
Ciò ha consentito risparmio di tempo e di denaro con un miglior sfruttamento delle risorse e, quindi, una maggiore efficienza del sistema.
Rapporti col mondo operativo
La struttura organizzativa messa in atto ha mostrato le proprie capacità di operare, entrando in breve tempo a regime di funzionamento. A livello operativo il PRisCA, sempre più conosciuto, rappresenta un punto di riferimento per quanti intendono avviare attività nel settore delle colture non food. Gradualmente è cresciuta la coscienza della necessità di portare il messaggio sperimentale a livello operativo e di favorire una compartecipazione sempre più stretta delle realtà regionali. Associazioni di produttori, camere di commercio, settori industriali e industrie singole hanno organizzato simposi, convegni e incontri chiedendo relazioni e interventi al Coordinamento e a singole Uo. Direttamente a cura del PRisCA sono stati organizzati un numero notevole di incontri, tavole rotonde, visite guidate ai campi sperimentali, con ampia partecipazione di tecnici e operatori.
Sono stati promossi inoltre due convegni a carattere nazionale: il primo, relativo alla filiera Usi diversi, "Il colore dalla natura" in collaborazione con l'Ente sviluppo delle Marche; il secondo, riguardante la filiera Oli tecnici, "Oleaginose a uso non alimentare" in collaborazione con l'Associazione interprofessionale semi oleosi (Aiso).
Per una prima applicazione dei risultati del Progetto sul territorio sì è partecipato, in modo attivo, a progetti di sviluppo. Può essere ricordato il "Progetto Cilestre" per lo sviluppo di piante per coloranti nelle Marche; lo stretto rapporto con l'Esav nel Veneto per lo sviluppo di una filiera energia da etanolo su scala locale; la collaborazione con camere di commercio e privati per lo sviluppo della coltura del lino da olio in Emilia e quello da fibra in Puglia; i collegamenti con settori industriali interessati agli oli tecnici: per la Brassica carinata in diverse zone d'Italia e per il Crambe abyssinica soprattutto in Toscana, entrambi nel settore oli ad alto erucico; la verifica della variazione della composizione acidica in colture dislocate in vari ambienti relativamente al girasole ad "alto tenore in acido oleico"; infine, la nascente iniziativa per favorire la produzione della colza in Basilicata e successivamente in altre regioni del Sud.
Devono essere ricordati i collegamenti con altri Progetti sia a livello internazionale (in particolare con "Eurobiodiesel", "Hemp for Europe", "Environmental studies on sweet and fiber sorghum: low input and sustainable crops for biomass production" "Sweet sorghum, a sustainable crop for energy production in Europe: agricultural, industrial improvement, optimisation and implementation" tutti dell'Unione Europea), sia a livello nazionale (in particolare Citeca - Colture industriali tessili e cartarie, e Absov - Attività biologica sostanze di origine vegetale, entrambi del Cnr).
Il Coordinamento del Progetto partecipa attivamente ad alcuni importanti organismi internazionali impegnati nel settore delle colture non alimentari, potendo così usufruire dello scambio di conoscenze e informazioni.
Anche in campo nazionale i settori tecnici più avanzati dell'agricoltura, direttori di azienda, consulenti, cooperative di giovani agricoltori, associazioni e gruppi di produttori, sempre più frequentemente sollecitano incontri, chiedono informazioni e attendono ulteriori indicazioni dal PRisCA.
L'attività divulgativa del Progetto ha dato origine a 206 pubblicazioni su riviste scientifiche e tecniche, nazionali e internazionali, a una attiva partecipazione a convegni, sovente all'estero, e alla realizzazione della Collana PRisCA che prevede la pubblicazione di 6 volumi (Coloranti, Oli tecnici, Colture di nicchia, Colture da fibra, Colture da energia, Colture da amido), i primi tre già editi e gli altri in fase di preparazione più o meno avanzata.
Il futuro
Negli ultimi anni le colture alternative sono state oggetto di una molteplicità di convegni o simposi, soprattutto all'estero. Nella maggior parte dei casi è stato posto in evidenza il gap esistente fra l'impegno della ricerca e le possibilità applicative dei risultati ottenuti. Le conclusioni e le raccomandazioni dei responsabili delle Nazioni europee al convegno organizzato dalla Commissione Ue a Wageningen nell'estate 1997 sono sintetizzate in alcune frasi più incisive di qualsiasi discorso:
- è necessario sviluppare processi e prodotti in armonia con la società e l'ambiente;
- è indispensabile raggiungere, seppur in tempi lunghi, una gestione sostenibile delle risorse;
- è importante far capire al consumatore che le risorse rinnovabili sono alla base di un ambiente e una società sostenibili
- il mercato deve assorbire il prodotto;
- il consumatore deve essere salvaguardato;
- attualmente i prezzi degli agromateriali non sono competitivi; in pochi anni i prodotti rinnovabili correranno nel gruppo di testa.
Infatti ora sussiste quasi ovunque un rallentamento o impedimento causato da barriere di tipo economico - fiscale che non rendono competitive le materie prime di origine agricola locale rispetto a quelle di derivazione sintetica o di importazione da Paesi terzi.
La maggior parte delle filiere rientranti nel settore del non food si trovano ancora in una fase pre-competitiva e pre-normativa. In qualche caso il fattore di impedimento è solo la mancanza di un incontro fra potenziale produzione agricola e potenziale industria di trasformazione. L'Ue è ben conscia di questi problemi, tanto che nei futuri programmi si punterà al superamento delle barriere, con l'obiettivo di rendere operative le acquisizioni ottenute dalla ricerca già realizzata o ancora in atto. Fra i problemi da risolvere vi è anche quello, non menzionato esplicitamente, di superare la diffusa incapacità di comprendere la differenza fra la situazione attuale, nella quale le colture non food non hanno in pratica capacità competitive, e quella che sì va prospettando a medio - lungo termine a livello europeo.
In tutti gli scenari studiati e in quelli previsti dalla Ue (per la concomitanza di numerosi fattori, ad esempio accresciuta produttività dei Paesi del Sud-est asiatico, inserimento nei mercati dei Paesi Peco, ecc.) è prevista la conversione di grandi superfici da produzioni alimentari a produzioni a destinazione non alimentare. Già le direttive di Agenda 2000 sembrano volte a favorire un tale indirizzo. E´ necessario perciò fare una netta distinzione tra:
- risultati della ricerca agronomica che forniscano conoscenze su adattabilità delle specie ai differenti areali, livello produttivo conseguibile, durata del ciclo, possibilità di inserimento negli avvicendamenti, caratteristiche qualitative e tecnologiche delle produzioni, scelta del materiale genetico e tecniche colturali da adottare, soggezione a fitopatie o avversità in generale, impatto sull'ambiente, tecniche di prima trasformazione e conservazione del prodotto, ecc.;
- trasferimento operativo di tali risultati che è condizionato da fattori del tutto estranei alla ricerca e ai risultati stessi. Il trasferimento infatti, soprattutto quando si tratta di colture nuove che implicano non solo una innovazione di processo, ma anche di prodotto, dipende da decisioni di politica economica e fiscale; da decisioni a livello aziendale riguardanti sia piccole società sia multinazionali; da variazioni delle situazioni di mercato a livello mondiale che condizionano le concorrenzialità delle nuove colture rispetto alle colture tradizionali e a prodotti sintetici o di importazione.
E´ ovvio che se si accetta quanto sopra si comprende anche perché la ricerca sulle colture alternative sia in generale considerata strategica per acquisire le conoscenze, non solo di tipo agronomico, che si possono rendere indispensabili qualora cambino, a livello nazionale e/o internazionale, le condizioni legali, fiscali e tecnologiche.
Altro aspetto da non trascurare è la notevole interconnessione fra colture alternative e aspetti ambientali per la possibilità di sostituire prodotti più inquinanti di per sé o per il processo operativo richiesto. E indubbia l'ampia ricaduta sull'ambiente di singoli anelli della catena non food e, come in molti Paesi europei si è già compreso, è altrettanto indubbia la necessità di beneficiare della marcata valenza ambientale che caratterizza l'intero sistema.
La crescente propensione dei consumatori verso prodotti naturali e, quindi, "amici dell'ambiente" può essere un aspetto a favore di tali colture. D'altra parte la realizzazione di un'agricoltura veramente sostenibile o più in generale una gestione sostenibile delle risorse naturali e dell'ambiente, con riduzione delle emissioni inquinanti e del consumo di energie non rinnovabili, non può prescindere dallo sviluppo delle colture alternative.
Certamente, mentre la ricerca è impegnata nel settore, soprattutto nei Paesi ad economia industrializzata, e il mondo agricolo sembra fortemente interessato a colture "nuove", sia in alternativa alle tradizionali sia per ampliare le opzioni organizzative aziendali e anche per allargare gli avvicendamenti, l'industria di trasformazione si dichiara fortemente interessata al nuovo prodotto, ma spesso non fa nessuno sforzo per rendere operativo tale interesse. Prevale infatti il fattore economico contingente per la possibilità di importare materie prime a bassi costi, continuare a sfruttare impianti già ammortizzati, non affrontare l'alea di nuove tecnologie e nuovi impatti sul mercato.
E evidente che solo norme volte alla salvaguardia dell'ambiente e/o facilitazioni, soprattutto fiscali, potranno divenire lo stimolo per rendere operative le filiere, soddisfacendo l'interesse del produttore agricolo, quello dell'industria trasformatrice e quello del consumatore. L'effetto di provvedimenti fiscali sarebbe rivoluzionario. Da ricerche ancora inedite dell'Ue risulterebbe che l'impiego di biomateriali nel 2030 sarebbe di circa 150 milioni di tonnellate e, applicando una carbon tax di 50 ecu per t di C02 prodotta, raggiungerebbe 250 milioni di t per anno. Una carbon tax di 100 ecu incrementerebbe l'impiego a oltre 300 milioni di t con un investimento di circa 30 milioni di ettari di colture. Se si considerano anche gli usi energetici, le emissioni di equivalenti C02, rispetto alle attuali, sarebbero ridotte rispettivamente di quasi 1.000, oltre 1.500 e circa 2.000 milioni di t nei 3 casi.
Va rilevato che già oggi consistenti quote della produzione sono destinate al settore non alimentare e la domanda sembra essere crescente.
Molti Paesi industrializzati tengono conto di ciò e sviluppano fortemente la ricerca, pur consci della applicabilità solo in tempi medio - lunghi. A livello italiano, tenendo conto dei risultati già ottenuti, delle ricerche ancora in atto, del potenziale di ricerca nazionale, delle caratteristiche pedoclimatiche dei possibili areali, della possibilità di introduzione negli avvicendamenti, dell'enorme valenza ambientale differenziata per zone di alcune colture, i settori che richiedono ulteriori indagini di tipo agronomico sono quelli degli oli tecnici, delle biomasse, della fibra e cellulosa. Per tutti gli altri settori i risultati positivi già ottenuti, così come quelli negativi, non fanno ritenere prioritari ulteriori approfondimenti, almeno nei tempi brevi.
Per i 3 settori che richiedono un completamento delle ricerche può essere precisato quanto segue.
- Relativamente alla filiera Oli tecnici si dovrà continuare la individuazione e la valutazione del germoplasma, soprattutto in funzione della composizione acidica degli oli. Si dovrà inoltre completare la messa a punto di aspetti specifici di tecnica colturale. Sarà necessario intensificare i contatti con le industrie di trasformazione.
- Per la filiera Energia, limitando la ricerca agronomica alla verifica di nuovi aspetti recentemente emersi (Kyoto, ecc.) riguardo a etanolo e biodiesel per i quali si dispone già di sufficienti conoscenze, sarà necessario puntare su colture da biomasse, annuali o pluriennali, confrontandole nei diversi areali, valutando materiale genetico e tecniche colturali in funzione del rapporto, o meglio della differenza, fra input e output energetico.
- Per la filiera Fibra e cellulosa l'attenzione della ricerca sarà concentrata solo su poche specie, alcune comuni anche alla filiera Energia, che dovranno essere studiate in funzione delle possibili destinazioni. Per questa filiera, in particolare, dovrà porsi attenzione alla caratteristica multiuso di diverse colture per la possibilità di destinare a impieghi diversi l'intera pianta o solo porzioni di essa in base a specifiche caratteristiche.
Questo aspetto pare essere un punto di forza nel proseguimento coordinato della ricerca sulle colture alternative per la possibilità di valutare specie, germoplasma e tecniche colturali contemporaneamente nell'ottica di differenti filiere; ciò comporterà un maggiore sforzo per caratterizzare qualitativamente le produzioni ottenute in differenti situazioni pedoclimatiche e colturali. Altro aspetto di rilievo nel proseguimento delle ricerche dovrà essere la possibilità di confrontare, a parità di ambiente, colture appartenenti a diverse filiere sia relativamente alla redditività economica che all'impatto ambientale.
Quanto sopra rientra nell'ottica dell'unitarietà della ricerca volta non solo al conseguimento del "risultato", ma anche dell'efficienza nel modo di conseguire il risultato stesso, sfruttando il bagaglio di conoscenze, di professionalità, di consuetudine al lavoro comune e di collaborazione acquisito negli anni.
Poiché è prevedibile che le risorse per la ricerca saranno sempre più esigue, che continuerà la tendenza a favorire gli studi nelle scienze cosiddette di base e in quelle sociali e umanistiche dal quali si richiede spesso solo una ricaduta culturale, mentre per le scienze applicate, come quelle che interessano l'agricoltura, si tende a richiedere un trasferimento operativo del risultato, le ricerche nel settore troveranno sempre maggiore difficoltà. Diviene perciò indispensabile che alla passione e all'impegno dei ricercatori si affianchi una completa convinzione su necessità e finalità delle ricerche da parte di chi ha il potere di indirizzare la ricerca stessa. Soprattutto, è necessario tener conto degli interessi generali, non legati a situazioni contingenti, ma in una visione più ampia proiettata sul nuovo millennio, nella consapevolezza che la ricerca non rappresenta un costo, ma è, a tutti gli effetti, il migliore degli investimenti.
Gianpietro Venturi
Maria Teresa Amaducci
Dipartimento di agronomia Università di Bologna
Gli autori sono rispettivamente coordinatore generale e vice - coordinatore del Progetto.
www.agrsci.unibo.it/agro/people/gventuri.html
Relazione presentata alla Tavola rotonda su "Stato attuale e prospettive della ricerca agronomica", 320 Convegno annuale della Società italiana di agronomia, Ancona, 15-18 settembre 1998.
Da L'INFORMATORE AGRARIO N. 46/98
www.informatoreagrario.it